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XX anniversario alluvione

8 novembre 1986

 

 

Grazie di essere venuti, qui, in Palazzo Vecchio a ricordare il ventennale dell’alluvione dell’Arno, che colpì città e paesi della nostra regione, ma soprattutto Firenze.

La calamità di quei giorni fece alcune vittime, danneggiò gravemente migliaia di opere d’arte, colpì molte aziende artigiane e industriali tra le quali molte di modeste dimensioni e quindi ancora più preziose e più fragili, e quasi dappertutto nelle abitazioni allagamenti, distruzioni, tonnellate di fango.

Di più non vorrei aggiungere: altri hanno già provveduto a riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica le ferite che l’Arno inflisse a Firenze. I fiorentini, quando si presenta una grave vicenda che colpisce la comunità, non sono più piagnoni ma diventano arrabbiati.

Preferirono, in quelle giornate, anziché attendere la passivamente aiuti ed assistenza, con solidarietà d’intenti provvedere a rimarginare le ferite. Pensano però oggi, questo si, alle cose  - e sono tante – che restano ancora da fare.

Le alluvioni fanno parte di molta storia di Firenze e del suo fiume che ha una sua natura anomala, torrentizia: secco d’estate e pieno d’inverno.

L’ultima alluvioni, prima di quella di vent’anni fa, aveva colpito Firenze il 3 novembre 1844, quando anche il Gran duca, il rimpianto Canapone (si rimpiange tutto e tutti) venne in soccorso dei cittadini colpiti.

Occorre però anche sottolineare – ed è un riconoscimento dovuto ai toscani – che l’alluvione non è stata semplice furia devastatrice, perché essa ha originato momenti nei quali la comunità dei cittadini è stata ben consapevole della sua comunità di destini. In quelle occasioni il comune denominatore d’intesa ha sempre avuto un balzo quasi miracoloso: la tensione interna – tradizionale – si è dunque tramutata in una specie di forza catartica: capace cioè di suscitare una forza reazione di vita, di valori positivi.

In questo contesto partecipativo, impressionò soprattutto l’apporto dei giovani saccopelisti che vengono oggi per vedere, conoscere, vivere in piena autonomia, quindi con pochi soldi. Tra incomprensibili anatemi che altrove sono stati lanciati, Firenze si è invece distinta perché ha fatto a questi giovani il viso arcigno. Dobbiamo si attrezzarci ad accoglierli ed anche, perché non ammetterlo, proteggere la città dalla esuberanza del loro temperamento giovanile.

La calamità di vent’anni da segnò anche l’avvento di una nuova stagione del restauro, in cui la sapienza artigiana di fertile tradizione, venne sposandosi con la tecnologia moderna, riproponendo così la felice sintesi umanistica dell’homo faber e dell’homo sapiens.  Non è senza ragione che nelle attività di “Firenze capitale europea della cultura” è stata prevista una esposizione di grandi capolavori d’arte che sono stati restituiti a nuova vita – e non sono pochi – accanto ai quali saranno esposti simboli di quanto ancora resta da fare; nella speranza che questa esposizione “opera restaurata. Opera da restaurare” possa incitare banche e privati a convogliare risorse, in maniera organica, verso quanto ancora resta da fare.

L’alluvione inoltre fece aprire gli occhi più distratti su quel che l’Arno rappresenta da sempre, ma a maggior ragione nella nostra epoca di sviluppo tecnologico e al tempo stesso di regresso dell’ambiente. A questo regresso occorre reagire in maniera non semplicemente difensiva ma in modo innovativo.

Gli esperti ci dicono che se si ripetessero gli eventi climatici di quel novembre del ’66 avremmo una nuova alluvione.

Non possiamo tuttavia disconoscere quello che in questi venti anni è stato fatto: sono state abbassate le platee del fiume , l0alveo ès stato allargato, entro l’87 sarò pronto lo Scolmatore di Pontedera; entro il 90 il lago artificiale di Bilancino.

Quel grande malato che è l’Arno è stato invece cantato dai poeti fiume sicuro, pulito, godibile; ma l’”Arno d’argento” è forse stato solo una metafora poetica della quale si è fatto, credo ultimo interprete, Odoardo Spataro. In realtà esso è sempre stato maleodorante e inquinato da conciatori e pellettieri, ieri e oggi dalle caratteristiche di uno sviluppo industriale non autodisciplinato i cui connotati occorre dunque cambiare.

Non possiamo trascurare di menzionare le cose fatte da quel lontano ’66 ma non possiamo sottacere, in tutta coscienza, e di fronte a rappresentati del Governo nazionale e regionale, che il cammino intrapreso è ancora incompleto.

Firenze chiede di fare di più per l’Arno; essa, da sola, è inerme. Le ultime notizie dell’attenzione del Governo, quanto detto ieri dal Ministro Nicolazzi, la sua presenza oggi,  Ministro Samberletti, che anche qui in Toscana raccoglie tanta devota simpatia e fiducia, ci danno motivi di speranza. I nostri parlamentari della Toscana caldeggiano ed incalzeranno l’attuazione di questa provvidenze legislative.

Anche il confronto scientifico che in congressi altamente qualificati è stabilito a Firenze, poterà un rinascere di attenzione, una conoscenza più approfondita dei problemi che attendono soluzioni. quando un problema si pone, significa che vi sono i mezzi per risolverlo; per questo attendiamo dunque soluzioni, con ogni disponibilità a fare la nostra parte in un concerto più ampio.

La solidarietà internazionale nei giorni dell’alluvione fu toccante e rivelò a chi non lo sapeva o lo aveva dimenticato, quale immagine il mondo avesse di Firenze.

Questo patrimonio di immagine e questa vocazione internazionale di Firenze non dobbiamo disperderli: costituiscono l‘eredità tramandataci dal passato, che noi , a nostra volta, abbiamo dovere di tramandare alle future generazioni.

Quando parliamo, noi fiorentini, della nostra città, e quindi delle sue cose, degli elementi che la costituiscono, dobbiamo riuscire ad evitare di cadere in una duplice retorica: quella dell’esaltazione enfatica della fiorentinità e quella di segno opposto del catastrofismo disfattista.

La crisi di identità di Firenze è l’inevitabile, anzi necessaria, conseguenza di un mondo che cambia. Governare questa mutazione significa non solo salvaguardare il suo patrimonio storico ed artistico ma significa anche una nuova e diversa attenzione che dobbiamo rivolgere verso questioni essenziali per la nostra città.

La lezione dei giorni drammatici dell’alluvione, nel negativo come nel suo risvolto positivo, non la dimenticheremo.

Ma vogliamo qui ringraziare il ministro Zamberletti, le Forze Armate, il nostro Prefetto ed i responsabili anche del nostro Comune per le misure di protezione civile che si stanno approfondendo sulla base di quella esperienza che deve ora trovare sbocchi più tranquillizzanti nelle opere di prevenzione.

L’allargamento dei limiti di tempo del preallarme è essenziale. Non dimentichiamo che venti anni fa l’alluvione si manifestò in un giorno di festa nazionale, quando dunque nuclei familiari erano raccolti e riuniti. Possa l’esperienza che abbiamo passato esserci guida avvertito, e maestra.