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Per una conversazione sul tema della comunicazione di massa e dell’immagine di Firenze che dai mass media è possibile ricavare.

15 dicembre 1986

 

 

È fortunatamente tramontata nell’era dell’informazione che non dobbiamo più preoccuparci di cercare ma dalla quale veniamo assediati e talvolta purtroppo plagiati.

Lo spiegamento degli attuali mezzi di comunicazione di massa dalla stampa quotidiana e periodica alla radio, all’onnipresente televisione ci permette di fagocitare una mole di informazioni che non investono più soltanto i settori di nostro interesse ma sconfinano in un universo di nozioni tra le più diverse che magari esulano dalla nostra sfera di interessi.

Il metro di misura da adottare quindi per continuare ad informarsi correttamente non è più solo quantitativo, come una volta, ma qualitativo. Della massa di informazioni che assumiamo quotidianamente solo una parte sono da considerare essenziali, necessarie o interessanti. Una selezione delle informazioni che riceviamo è divenuta ai nostri giorni imperativa.

Questa tesi presuppone ritmi di lavoro e di vita diversi perché ci impone di dedicare il maggior tempo possibile all’analisi delle informazioni che siamo in grado di ricevere per operare una scelta qualitativamente redditizia: ecco come la rivoluzione dell’era dell’informazione sta modificando la nostra vita.

Se basiamo le nostre riflessioni su questo assioma non è difficile rispondere ad una domanda specifica: quale l’immagine di Firenze attraverso le informazioni fornite dai massa media? Di Firenze si parla da sempre, le sue stesse caratteristiche di centro di cultura l’hanno imposta ormai da molti secoli all’attenzione del mondo.

Certo, l’impatto che l’immagine di questa città poteva avere sui viaggiatori ottocenteschi, in gran parte anglosassoni o mitteleuropei, che vi trascorrevano lunghi periodi è radicalmente diverso da quello che adesso può produrre sui protagonisti delle maratone turistiche che ormai sono divenuto quasi una costante di Firenze, come del resto di altre città di grande fascino e di grande richiamo, come Venezia o Parigi o molte ancora.

Esistono due realtà dell’immagine di Firenze quella che le è caratteristica  di centro di cultura con la quale è possibile instaurare un rapporto di equivalenza solo a patto di poterci vivere per poter indagare i suoi segreti e quella consumistica attualmente svenduta a larghe fasce di pubblico che comunque non avrebbe il tempo e forse neppure la volontà per approdare in un altro modo nella nostra città.

Se quest’analisi si adatta all’immagine diretta che ogni soggetto può avere di Firenze senza troppe modifiche può essere trasposta anche nell’equivalenza mass media-immagine di Firenze.

Anche in questo caso infatti l’immagine che si può ricavare dall’intervento degli organi di comunicazione di massa sulla realtà fiorentina presenta due aspetti diversi uno caratterizzato da un intervento qualificato e specialistico, che certamente non viene assimilato dal grande pubblico e uno pubblicitario-turistico che invece al grande pubblico è interamente dedicato.

L’occasione di potersi fregiare per un anno del titolo di Capitale Europea della cultura e l’attenzione rivolta a Firenze per il suo programma di manifestazioni penso abbi aiutato questa città a combattere la sua battaglia tra queste due identità gratificandone l’immagine di centro di cultura.

È importante sottolineare anche un altro aspetto di questo problema, si tratta di un’analisi soggettiva che non vuol assolutamente porsi in pontificato ma può rappresentare di  sicuro un’esperienza, quella di chi, fiorentino esule in un’altra grande e famosa città, ha potuto constatare quel è, l’immagine che il pubblico si fa della nostra città.

Essendo i due aspetti coincidenti mi trovo a dover ribadire l’esistenza di quelle due distinte realtà alle quali ho già accennato e questo, anche se a margine, mi conforta del fatto che se non altro per adesso siamo ancora in grado di riconoscersi nei messaggi che raccogliamo a diversi livelli d’interesse dalla comunicazione di massa.


 

DISCORSO PER LA COMMEMORAZIONE DEL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GIORGIO LA PIRA.

Firenze, 5 novembre 1987

 

 

Il mio saluto a tutti voi non è un saluto convenzionale ma rappresenta l’apprezzamento dell'Amministrazione Comunale per la vostra partecipazione ad un momento così alto di riflessione su ciò che hanno rappresentato per la nostra città, per la nazione e per il mondo, il pensiero e l’opera di La Pira.

 

il Cardinale Arcivescovo Piovanelli mi ha telefonato esprimendomi, il suo rammarico per non poter essere presente a causa di un precedente impegno pastorale.

 

Desidero, oltre ad un saluto deferente alle tante autorità presenti, ad un saluto cordiale e affettuoso ai familiari di Là Pira, rivolgere un saluto particolare a Don Giuseppe Dossetti che ha rappresentato e rappresenta, non solo nel mondo cattolico, un fecondo punto di riferimento nel campo scientifico, nel campo politico e sociale e, forse a lui più caro, nel campo spirituale.

Dalla Resistenza alla Costituente, dalla cattedra universitaria allo scranno di Montecitorio, dai vertici del suo partito alla vocazione sacerdotale, dalle esperienze conciliari al suo ritiro di studio e di preghiera, nella comunità religiosa da lui fondata, Don Giuseppe Dossetti, con una coerenza rara ai giorni nostri, ha sempre operato con spirito innovatore e di assoluto servizio mettendo al primo posto l'uomo ed i suoi valori fondamentali. Per questo siamo lieti ed onorati di averlo cui con noi stasera.

Io credo che oggi qui noi non siamo a "commemorare" La Pira; questo termine mi sembra improprio: mi sembra più giusto dire che siamo a ricordarlo collettivamente, in questo salone così aristocratico e popolare allo stesso tempo, nel quale egli tante volte incontrò le più diverse persone, venute dal mondo intero, ai richiamo della sua personalità dai connotati sicuramente eccezionali.

 

Egli è certamente ben vivo nella memorie o nella coscienza di tutti noi.

Mi sembra di poco tempo fa la sua scomparsa, quando anch'io mi unii a una costante fiumana di popolo che andava a tributargli il suo devoto affetto in San Marco. Non molto tempo fa ho assistito alla funzione per l’insediamento del Tribunale diocesano per la canonizzazione di La Pira a così brevi tempi dalla sua dipartita terrena.

Quest'uomo così minuto, illuminato com'era dalla sua vocazione, aveva - tra le altre caratteristiche del suo pensiero e del suo carattere - quella di non aver dubbi ogni qual volta un conflitto, di qualsiasi natura esso fosse, si delineava: intervenire e prendere la parte del più debole. Questo forse fu il tratto caratteristico della sua vocazione veracemente cristiana.

Ho detto che "ricordo" mi sembra termine più appropriato che non quello di "commemorazione": ancora ieri - parlando con dei colleghi per distribuire il nostro lavoro nella giornata di oggi - abbiamo detto: alle 17 dobbiamo smettere perchè abbiamo La Pira; quasi fosse - questo - un appuntamento con una persona ancora vivente.

Le sue iniziative, che nella sua vocazione affondavano le loro radici, non furono tuttavia solamente il risultato di estasi o di trasporti mistici; erano radici rinvigorite da una dottrina e da un pensiero storico e scientifico. Troppo facilmente si dimentica la sua figura di giurista, di professore universitario; fu in quelle vesti che ebbi una volta ad incontrarlo, sia pur fugacemente.

 

La lotta politica, con le sue cosiddette regole del giuoco che in realtà sono del tutto sregolate, non lo risparmiò anche se egli la attraversò conservando una gioiosità ed una soavità di atteggiamenti che non potevano non essere sofferte; ma egli potè preservarle alimentandole con una sua intima serenità.

Il requisito primo della pace, da lui così ardentemente difeso e diffuso, si c venuto - sia pur contraddittoriamente – espandendo anche se sarebbe incauto fin d'ora dire che si stia affermando. F difatti, nella nostra presunzione e nel nostro egoismo, troppo spesso non teniamo in sufficiente conto i conflitti in corso in zone periferiche, così ripugnanti proprio perché sono il risultato di cinici d i ro t1 a me ri t i .

Ma l'idea della pace si diffonde in strati sempre più ampi e segnatamente nella gioventù, alla quale a torto attribuiamo troppo e troppo spesso aspetti degenerativi.

"Colui che non vuole uscire dall'egoismo, dal perbenismo, dalla viltà, dalia paura, non ha diritto di ascoltare La Pira", ha detto di lui il vescovo brasiliano Helder Camara. Il rischio più grande è che, nell'attutirsi di una tensione ideale, si cada nell'assuefazione a questi risvolti deboli e negativi della natura umana. Cosicché si rinunci ad una ansia innovatrice che è invece il primo sintomo della vita.

Di questo rinnovamento dei mondo a partire da ragioni che il mondo trascendono, La Pira trovò nell'amicizia solidale di Giuseppe Dossetti un punto di riferimento e di sostegno. Di quei loro rapporto, fatto, come ha avuto modo di ricordare Don Dossetti, di "inesausta capacità di speranza e di amore", mi piace ricordare soprattutto il loro profondo radicamento nella vita cittadina di Bologna e di Firenze.

L’orizzonte della “polis” fu il loro orizzonte civile, il contenuto e la ragione della passione politica, politica intesa nel senso di lavorare con la gente per la gente.

 

 

I progetti    sociali che  animarono la loro partecipazione

all'elaborazione   della  Costituzione        trovarono nella   città il luogo

principe della loro sperimentazione* Cosicché Bologna e Firenze assursero ad un valore universale  in una visione che non fu quindi mai

municipalista.

Questo vivere la democrazia nei confini della città e la città con gli occhi rivolti al mondo, che animò l'opera di La Pira, rappresenta, io   credo,         uno stimolo         di verità, che         non possiamo non

raccogliere con quell'"umiltà risoluta", di cui parla Don Dossetti.