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DOCUMENTI

A Turi con Gramsci

Il 10 dicembre 1930, in seguito alle proteste e alle denunce avvenute all'estero, Pertini venne trasferito dall'Ergastolo di Santo Stefano alla casa penale di Turi, destinata ai condannati gravemente sofferenti.

Ricorda Pertini:

"Durante la traduzione sul piroscafo che mi conduceva a Napoli mi trovai improvvisamente dinanzi ad uno specchio. Era la prima volta dopo la carcerazione. Rividi il mio volto e mi accorsi che i miei capelli erano divenuti grigi".

La traduzione da Santo Stefano a Turi comporta una sosta a Napoli, un'altra a Foggia. Il viaggio � lungo, estenuante. Sulla penosit� delle traduzioni e dei transiti vi sono molte testimonianze, da Gramsci a Emilio Lussu, da Michele Giua a Ernesto Rossi, da Luigi Salvadori ad Arturo Dellepiane. Particolarmente dura � la traduzione su nave, specie quando il mare � agitato.

Ma anche la traduzione ferroviaria � un calvario. Stretto in un cubicolo di ferro di un metro per un metro, senza apertura verso l'esterno, con una grata lunga una spanna sulla porta, il detenuto viaggia ammanettato, tormentato dal caldo d'estate, dal freddo d'inverno, e dagli insetti, dalla sete, dalla fame.

... Giunto al carcere di Turi, Pertini vi incontra numerosi "politici": tre anarchici, diciotto comunisti, tra i quali Gramsci, gli ex deputati Francesco Lo Sardo ed Ezio Riboldi, Athos Lisa, Enrico Tulli, Giovanni Lai. L'unico socialista � lui, Pertini, che viene messo con Lisa e Lai e altri sei in un camerone dal pavimento di terra battuta...

Cos� Pertini ricorda Gramsci durante i giorni della carcerazione a Turi

Conobbi Gramsci nel carcere di Turi di Bari, dove, dopo qualche giorno dal mio arrivo, stringemmo subito amicizia. Gramsci dimostr� sempre verso di me un'amicizia leale, sincera e, per apprezzarne tutto il valore, deve essere messa in evidenza subito una cosa: in quei tempi, all'estero, socialisti e comunisti si sbranavano, esisteva tra loro una polemica aspra. Io ho sempre disapprovato questa rottura perch� sono sempre stato per l'unit� del movimento operaio; quindi l'amicizia concessami da Gramsci assunse per me un significato, oltre che sentimentale ed umano, anche politico. Andavo sempre al passeggio con lui perch� provavo un vero piacere ad ascoltarlo: la sua conversazione era sempre elevata, era un uomo di una cultura sempre di prima mano, preparatissimo: insomma, io avevo sempre da imparare standogli vicino. Gramsci infatti � stato certamente il cervello politico pi� forte, l'uomo di pi� vasta cultura che io abbia conosciuto lungo il mio cammino di militante politico. Quando polemizzava, giungeva a toni molto forti, anche aspri; ma era molto pi� umano di quanto non sembrasse. Pensavo sempre alla sua famiglia, ai suoi figli che erano lontani, in Russia, e me ne parlava con affetto.

Come descriverlo fisicamente? Ecco, occorre immaginare il corpo debole di un pigmeo e, su questo corpo, la testa di un Danton. Aveva gli occhi color dell'acciaio che quando si fermavano sull'interlocutore non lo mollavano pi�: da essi sprizzavano tutta l'intelligenza e l'ingegno del suo cervello. A Turi di Bari, oltre che con me, strinse amicizia con due ex anarchici che erano stati condannati dalla corte di assise di Milano; ma dopo un periodo di conversazione con Gramsci, essi diventarono comunisti e gli furono sempre fedeli. Queste amicizie gli venivano rimproverate dai compagni comunisti che erano nello stesso carcere. Si sa, infatti, che eccettuato qualcuno, ci fu un forte dissenso politico in quel periodo fra Gramsci e questo gruppo di comunisti. Gramsci se ne rammaricava con me: "Non hanno capito la mia opposizione", diceva. Mi risulta che questo gruppo fece pervenire poi al centro estero del partito a Parigi una relazione sulle posizioni politiche di Gramsci, quasi denunciandolo come un deviazionista; la stessa sorte del resto capit� a Terracini e alla Ravera che al confino erano considerati fuori dal partito. Gramsci soffriva molto in quella situazione. Era malato: stava solo in una cella ed era autorizzato a tenere penna e calamaio: gli strumenti che gli consentirono di scrivere i Quaderni dal carcere. Anche per questo gli venivano mossi dei rimproveri, non dai comunisti, ma da una parte dei detenuti anarchici: "E' un privilegiato", dicevano, "lui ha la penna e noi non la possiamo avere". Ma la sua grande amarezza derivava dall'ostilit� che gli dimostrava il gruppo dei detenuti comunisti che era a Turi, fatta qualche eccezione. E' inutile che faccia il nome di questi compagni; ricordo per� che, a un certo punto, anch'io cercai di intervenire per sanare questo dissidio; ma non fu possibile approdare a risultati. Dissi fraternamente ai compagni comunisti: "Fate male a lasciarlo solo". Perch� non era lui che teneva a distanza i compagni, ma erano loro che lo tenevano isolato. Perci� lui continuava a stare con me e con i due ex anarchici milanesi.

Era gravemente ammalato e soffriva d'insonnia: dormiva poche ore per notte o alle volte aveva notti completamente insonni. Quando riusciva ad addormentarsi bastava il minimo rumore per svegliarlo. Una volta si sfog� con me. Mi disse: "Tu sai che le guardi, durante la notte vengono due volte a sorvegliare; quando aprono lo sportello della mia cella per l'ispezione lo richiudono sempre sbattendo forte: io mi sveglio e poi non riprendo pi� sonno; e, purtroppo, questo accade molto spesso". Era una situazione intollerabile e, a sua insaputa, io decisi di chiedere udienza al direttore: "Mi risulta", gli dissi, "che le guardie quando vanno alla notte a fare ispezione nella cella di Gramsci aprono lo sportello e, invece di richiuderlo senza far rumore, lo sbattono appositamente per svegliarlo e Gramsci non riesce pi� a prender sonno. Lei deve intervenire e far cessare questo stato di cose: altrimenti far� rapporto al ministero della giustizia e degli interni". Il direttore mi rispose: "Far� un'indagine".

Qualche giorno dopo incontrai Gramsci al passeggio molto pi� sereno. "Sai?" mi disse, "va molto meglio. Le guardie hanno preso a richiudere lo sportello della cella con una certa delicatezza. Non lo sbattono pi� come prima e io riesco a riposare meglio". Quindi il mio intervento aveva avuto un esito positivo: me ne rallegrai, anche se non gli dissi mai che ero intervenuto in suo favore. Un altro giorno Gramsci mi disse: "Noi due dobbiamo iniziare una conversazione che durer� due mesi". "Che duri due mesi, due giorni o un anno � lo stesso", risposi, "perch� qui, ormai, l'orologio per noi si � fermato. D'altra parte conversare con te � sempre di grande interesse, perch� ascoltandoti imparo sempre qualche cosa". Capii subito dalle sue prime battute che voleva persuadermi a passare al Partito comunista; non riusciva a comprendere che un uomo come me, con la visione che avevo della lotta, col mio temperamento, potesse rimanere coi socialisti. Ma quando gli dissi: "Non posso lasciare il mio partito, cui sono devoto. Posso anche dissentire da certi atteggiamenti, ma ci rimango". Lui rispett� questa mia posizione.

Allora per i comunisti, noi socialisti eravamo dei "socialfascisti". Non per Gramsci, perch� egli prevedeva che un giorno vi sarebbe stata un'alleanza tra i socialisti, i comunisti e tutte le forze antifasciste. E riteneva fosse un grave errore quello di certi suoi compagni che ancora persistevano su questa posizione nei nostri confronti. A Turi di Bari io ero l'unico socialista, tra i detenuti: ecco perch� Gramsci, cos� sensibile umanamente, dimostr� questa attenzione verso di me. Io ero solo, mentre erano molti i comunisti: Riboldi, Lo Sardo, Lisa, Lai, Tosin, Tulli e Angelo Scucchia, romano. Fu questa realt� che indusse Gramsci ad avvicinarsi a me, perch� non rimanessi isolato, dato il contrasto che esisteva allora negli ambienti dell'emigrazione tra socialisti e comunisti. Gramsci parlava con grande ammirazione dei suoi compagni che si prodigavano all'interno dell'Italia nell'organizzazione clandestina. Ma pensava che non bisognava illudersi di farne un'organizzazione efficiente tanto da poter influire sulla caduta del fascismo.

Era assistito molto fraternamente dalla cognata che credo lavorasse a Roma presso l'ambasciata sovietica. Gli faceva avere medicinali e generi alimentari. Cos�, alla vigilia di Pasqua, mi pare del 1931, ricevette un gran pacco di viveri e, in cortile, mi disse: "Sai, ho chiesto al direttore che tu possa venire nella mia cella. Ho gi� preparato tutto. E' Pasqua, e consumeremo insieme il pranzo che mi ha preparato mia cognata". Ma il direttore si comport� proprio male: gli lasci� intendere che mi avrebbe concesso di andare nella sua cella, ma, all'ultimo momento revoc� la concessione. Ricordo che anch'io aspettai a lungo che mi aprisse il cancello per andare gi� da Gramsci. Perci� non se ne fece nulla, e ci ritrovammo in cortile come al solito: "Non ho mangiato nulla", mi disse. "Ero troppo irritato. Ho dato tutto agli scopini".

Durante la mia permanenza a Turi accadde anche quell'increscioso episodio del sasso lanciato contro Gramsci. E a questo proposito voglio precisare subito una cosa: non � vero che siano stati i comunisti a lanciarlo. La verit� � questa: ci fu una nevicata e i detenuti durante il passaggio tiravano palle di neve. Un gruppo prese di mira Gramsci che si rifugi� in un angolo per evitare di essere colpito dai loro tiri. A un certo punto una palla si infranse sul muro, al quale Gramsci si appoggiava, e ne usc� fuori un sasso. Io gli ero accanto e gli udii dire: "Avevano messo un sasso nella palla di neve per colpire me". Qualcuno pi� tardi ha affermato che gli autori del disgustoso gesto furono i comunisti. Io affermo che non � vero. Fu un altro gruppo di detenuti ed ormai � inutile dire quale fosse la loro qualit� politica.

Gramsci era legatissimo alla Sardegna. Mi raccont� della sua giovinezza e di come avesse potuto studiare solo grazie a delle sue borse di studio. Ma soprattutto parlava con molta amarezza della condizione umana del contadino sardo. Aveva una grande ammirazione per Emilio Lussu, al quale era legato da vera amicizia, e ricordo che mi diceva: "In fondo, Emilio Lussu � un socialista" (Lussu divent� socialista in seguito, ma allora militava nel Partito sardo d'azione). Cos� anche aveva una grande ammirazione per i meridionalisti, per Giustino Fortunato, ad esempio, e si interessava molto del problema meridionale.

Ma soprattutto, ricordando le conversazioni con Gramsci, mi tornano alla mente i suoi discorsi su Torino operaia. Mi raccontava che, alla sera, dopo aver lavorato al giornale, era felice di poter prendere contatto con gli operi della Fiat. Diceva: "Poter stare con gli operai era grande conforto per me, come un bagno di umanit�. E quante esperienze ho tratto da quegli incontri! Sai gli uomini di cultura devono essere come delle levatrici, cio� devono estrarre loro dalla mente dell'operaio, dal movimento operaio, tutto ci� che serva per la lotta, per la loro stessa cultura". E aggiungeva: "Guai a quegli intellettuali, anche d'avanguardia, che si chiudono nella torre d'avorio della loro cultura e credono che questo basti per esprimere il loro pensiero, senza stabilire legami con la classe operaia. L'intellettuale, se vuole provare la validit� del suo pensiero e delle sue concezioni, deve stare in contatto col movimento operaio; chi se ne distacca gira a vuoto". E ricordo anche uno degli avvenimenti del suo periodo torinese che mi raccont� a questo proposito: Toscanini and� in quegli anni a Torino per tenere dei concerti sinfonici al Teatro Regio e un gruppo di operai si rec� da Gramsci e gli disse: "Noi vorremmo andare a sentire Toscanini". Gramsci si fece subito interprete di questo desiderio, degli operai, ma alcuni di quelli che interpell�, sorrisero scettici. Avvicin�, mi pare, anche alcuni dirigenti della stessa Fiat. Poi, finalmente, ottenne che fosse dato un concerto al Regio solo per i lavoratori. "Ebbene", mi raccontava a Turi, "dopo il concerto, che non era di musiche leggere, ma comprendeva la Quinta sinfonia di Beethoven e altro, Toscanini fece questa dichiarazione: "Ho avuto altre soddisfazioni di fronte ad altre platee, ma la pi� grande � stata quella provata qui, di fronte a questo pubblico di operai, che ha capito veramente, ha sentito la musica da me diretta".

Gramsci era molto ammalato e il lungo soggiorno in carcere aggrav� le sue condizioni di salute. Indubbiamente in libert� sarebbe riuscito a sopravvivere. Il pubblico ministero al tribunale speciale disse che per vent'anni quel cervello non avrebbe pi� dovuto funzionare e il fascismo lo fece tacere per sempre. E' falso dire che Gramsci sarebbe morto egualmente anche se fosse stato fuori, in libert�. Fuori avrebbe potuto essere curato. Il carcere logora anche fisici sani e stronca quelli deboli com'era il suo. Se fosse vissuto in Russia, come Togliatti, sarebbe stato curato e sarebbe vissuto. Non vi � dubbio, su questo.

Io, quando appresi della morte di Gramsci, piansi. Come piansi quando mi annunciarono che era morto Filippo Turati. Dal punto di vista affettivo, la morte di Gramsci � stata per me la perdita di un amico carissimo. Ma capii anche che si trattava di una grave perdita politica, non solo per il partito comunista, ma per tutto il movimento operaio italiano e internazionale. Questa morte ha lasciato un vuoto profondo, che non � stato colmato da nessuno.

Sono convinto che anche Mussolini abbia sempre avuto una grande ammirazione per l'impegno di Gramsci. Del resto quel che accadde alla Camera dei Deputati nella seduta del 16 maggio 1925 sta a dimostrarlo. Quel giorno, mentre Gramsci parlava fu interrotto da un fascista, Ferretti, che gli lanci� l'ignobile insulto: "Taci, rigoletto". Mussolini chiam� il deputato fascista, lo rimprover� acerbamente e gli ordin� di andare a chiedere scusa. Quando vide salire verso il suo banco questo fascista Gramsci disse: "Io non accetto nessuna scusa, non voglio neppure ascoltare. Avevo da dire cose troppo interessanti per poter sentire le sue interruzioni!".

E lo mand� via.


Gramsci vivo nelle testimonianze dei contemporanei
a cura di M. Paulesu
Milano, Feltrinelli 1977
pp. 210-214


Documenti Fondazione di Studi Storici Filippo Turati   Documenti Associazione Nazionale Sandro Pertini   Materiale consultabile su CD-Rom

 

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