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LA BEFFA DI CHIETI*
Impedita ogni manifestazione celebrativa, il governo fascista nel
corso del 1925 si preoccup� di chiudere, senza clamori, la vicenda
giudiziaria relativa ai responsabili e agli esecutori del delitto
Matteotti. Si cominci� rimuovendo i due magistrati che si erano
coscienziosamente occupati dell�istruttoria senza condi-zionamenti
di sorta. Il primo ad essere allontanato dal suo ufficio fu
Guglielmo Tancredi, destinato ad altra sede e successivamente
penalizzato nella carriera. Lo rim-piazz� il pi� flessibile Nicodemo
Del Vasto che ebbe invece pi� fortuna fino a raggiungere il seggio
sena-toriale. Fu poi la volta di Mauro Del Giudice il quale,
divergendo profondamente dalle conclusioni di Del Vasto, prefer�
chiedere di essere trasferito piuttosto che piegarsi alle
considerazioni di opportunit� politica suggeritegli insistentemente
dai superiori. I sostituti Del Vasto e Antonio Albertini, che
divent� in seguito procuratore generale alla Cassazione e quindi
senatore, depositarono nell�ottobre 1925 la requisitoria. Rinviati a
giudizio solo gli esecutori materiali, di cui tra l�altro si
escludeva la preme-ditazione, si chiedeva la scarce-razione dei
mandanti imputabili soltanto del sequestro di Matteotti: un reato
per il quale era nel frattempo intervenuta provvidenzialmente
l�amnistia del 31 luglio 1925. Tornava cos� in libert� il
�responsabile numero uno dell�azione contro Matteotti�, Giovanni
Marinelli. Il suo �sacrificio� sar� cos� esaltato in una
pubblicazione fascista del 1934: �ingiustamente coinvolto
nell�episodio Matteotti, sub� un anno e mezzo di carcere, mantenendo
ferreamente fede al Duce e al Fascismo. La Nazione... non misur� la
grandezza del sacrificio sopportato da questo suo figlio. Ben la
comprese il Duce che volle subito ridare a Giovanni Marinelli il suo
posto di grande gerarca del Fascismo�. La requi-sitoria di Del Vasto
e di Crisafulli giustificava nella parte conclusiva la tesi della
preterintenzionalit� dell�omicidio con espressioni
signi-ficativamente quasi identiche a quelle utilizzate dallo stesso
Mussolini in un articolo apparso contemporaneamente sulla rivista
�Gerarchia�: �la beffa del giugno, beffa diventata orribile
tragedia, indipendentemente, anzi, contro la volont� degli autori�
(Mussolini); �la farsa del 10 giugno, degener� in un�orribile
tragedia indipendentemente dalla volont� dei suoi autori, e
piuttosto contro questa (Crisafulli - Del Vasto)�. Contro l�esito
dell�istruttoria e la richiesta di assoluzione degli �imputati pi�
veri, e moralmente pi� responsabili� levava il 25 ottobre la sua
argomentata protesta la Parte Civile, rappresentata dagli avvocati
Gonzales - Modigliani - Targetti, che invocava dalla Sezione di
Accusa della Corte di Appello di Roma �il rinvio a giudizio degli
esecutori e dei mandanti per omicidio qualificato e premeditato�,
non senza avere biasimato l�intervento di Mussolini su �Gerarchia�
che veniva meno alla �riservatezza che dovrebbe proteggere e
garantire la imminente decisione del Magistrato�.
Il primo dicembre 1925 la Sezione di Accusa, nella sua sentenza di
rinvio a giudizio, fece proprie le tesi di Del Vasto e Crisafulli,
Uno dei tre consiglieri, il magistrato Enrico Randaccio, vot� in
senso contrario ai suoi due colleghi, Silvio Favari e Antonio
Albertini, �dopo di avere vanamente tentato di richiamarli al senso
del pudore, della responsabilit� e correttezza�. E dopo pochi giorni
la Corte di Cassazione decise di trasferire prudentemente il
dibattimento da Roma a Chieti, che era �proba-bilmente la citt� pi�
fascista d'Italia� e difficilmente raggiun-gibile. A questo punto
Velia Matteotti, profondamente amareggiata, decise di comunicare al
presidente della Corte di Assise di Chieti la propria intenzione di
ritirarsi da un processo che dopo gli ultimi sviluppi non la
riguardava pi�: �nelle varie vicende giudiziarie e per la recente
amnistia, il processo - il vero processo - a mano a mano svaniva.
Ci� che oggi ne rimane non � pi� che l�ombra vana... volevo solo
giustizia. Gli uomini me l�hanno negata, l�avr� dalla storia e da
Dio�. Assente quindi la Parte Civile, che si riserv� in ogni caso la
facolt� di promuovere in futuro le azioni legali pi� idonee ad
accertare in modo inequivocabile �tutta la verit� e perseguire
�tutti i responsabili�, sciolto il partito di Matteotti in seguito
all�attentato Zaniboni, piegata la magistratura in nome di superiori
esigenze di natura politica e ridotta praticamente al silenzio ogni
voce di opposizione, il governo tuttavia continuava ad essere
fortemente preoccupato dei possibili riflessi interni e
internazionali del processo e deliber� quindi di adottare
eccezionali misure di ordine pubblico.
In un voluminoso stampato (Ordinanza per l�esecuzione dei servizi di
polizia e di ordine pubblico in occasione della discussione innanzi
alla Corte d�Assise di Chieti del processo per l�omicidio
Matteotti), erano fissati nei minimi dettagli tutti i particolari
del servizio d�ordine affidato direttamente all�Ispettore generale
del ministero dell�Interno Angelucci; coadiuvato da 5 commissari, 9
funzionari, 93 agenti, 362 carabinieri, 265 militari, 100 elementi
della Milizia. Controlli severissimi erano riservati a chiunque
transitasse per il piccolo centro abruzzese, ai servizi telefo-nici,
agli edifici attorno al tribunale, ai corrispondenti della stampa
italiana ed estera. Nel corso del dibattimento si arriv� persino ad
indagare sulla presenza nel territorio di colombi viaggiatori
sospettati di portare informative processuali ai fuorusciti in
Francia (�Secondo notizie pervenute al Superiore Ministero
dell�Interno... in Francia giungono notizie sul processo Matteotti a
mezzo colombi viag-giatori. Si prega pertanto di far eseguire
urgenti, accurate indagini per conoscere se in codesta giurisdizione
esistano o siano stati in questi giorni trasportati gruppi di
colombi viaggiatori�). Intanto gli imputati al loro arrivo a Chieti,
verso la fine del febbraio 1926, vennero salutati dal locale foglio
fascista �Il Nuovo Abruzzo� come valorosi combattenti, �vittime� di
una malvagia campagna orchestrata dagli antifascisti: �Noi salutiamo
in Dumini e compagni i campioni di un Fascismo certamente violento,
perch� rivoluzionario, acceso e selvaggio, perch� squadrista, perch�
audace e guerresco, vittime pazienti delle pi� infami turpitudini
dell�antifascismo, da cui i giurati di Chieti sapranno finalmente,
in serena coscienza, riabilitarli per restituirli onesti e puri alla
vita civile e al Fascismo�. Per parte loro Dumini, Volpi e Poveromo
inviarono dal carcere un telegramma ai camerati milanesi
riaffermando la loro immutabile fede: �Nel nome di Mussolini e per
il fascismo i carcerati fascisti rinnovano il loro giuramento di
fedelt�. A Noi!�.
Lo stesso Mussolini scese in campo per fissare perentoriamente i
limiti entro i quali avrebbe dovuto svolgersi e concludersi il
dibattimento: �Il processo... deve irrevocabilmente finire prima del
28 ... evitare tutto ci� che pu� drammatizzare le udienze e quindi
richiamare particolarmente l�attenzione del pubblico nazionale e
internazionale... non deve in alcun modo assumere carattere politico
che impegni in qualsiasi modo il Regime... deve svolgersi tra
l�indifferenza della Nazione e si deve evitare che l�Italia torni a
matteottizzarsi�. Tanto timore incuteva l�ombra di Matteotti anche a
distanza di due anni dalla sua morte! E proprio per questo alla
vigilia del processo, preoccupato delle eventuali conseguenze del
riaccendersi in forme attive del non tramontato mito matteottiano,
Mussolini provvide a mobilitare i prefetti perch� impartissero
disposizioni precise alla stampa fascista e filofascista: �Ridurre
il resoconto all�essenziale. Evitare fotografie, titoli e
sottotitoli che tornino a drammatizzare l�avvenimento... In ogni
caso imprevisto arriveranno apposite istruzioni�. Per ridurre al
massimo la visibilit� dell�evento e cancellarne futura memoria fu
inoltre fatto assoluto �divieto� di riprendere immagini nell�aula
del tribunale con macchine fotografiche e con cineprese. Altre
direttive invitavano avvocati e imputati ad �attenersi� per il buon
andamento della causa �alla guida del Presidente� e gi�
prefiguravano l�esito della sentenza come semplice reato di concorso
in omicidio non premeditato con la concessione inoltre delle
attenuanti. Una volta assunte informazioni dettagliate sugli
orientamenti politici dei giurati tali da escludere elementi �ostili
al regime e al fascismo� e preventivamente eliminati dai fascicoli
processuali documenti compromettenti proprio da parte del pubblico
ministero Alberto Saiucci, poi nominato senatore, il dibattimento
pot� finalmente avere inizio.
Il processo dur� appena una settimana e si apr� il 16 marzo alla
presenza di tutti i membri della Giunta esecutiva della Federazione
provinciale fascista di Chieti e di �80 Signore che non si saziavano
mai di fissare gli accusati�, secondo una nota prefettizia. Il
dibattimento si rivel� un�autentica �farsa�, come ebbe a scrivere
Turati a Velia Matteotti, una �beffa atroce... evidentemente
concordata�. L�avvocato Bruno Cassinelli, parlamentare socialista
massimalista, da teste di accusa si trasform� in �testimone
accomodante, funzionale alla linea difensiva� di Farinacci dopo un
accordo con un fiduciario della polizia di �garanzie politiche e
finanziarie�. In seguito a quella deposizione, che suscit�
particolare scalpore, Cassinelli venne espulso dal Partito
socialista. Il suo nome figurer� nel dopoguerra tra i confidenti
dell�Ovra. Ancora pi� clamoroso il tentativo di depistaggio
dell�azione giudiziaria messo in opera da Curzio Malaparte. Lo
scrittore toscano, in una delle stagioni pi� oscure della sua vita,
si prest� ad accreditare con la sua testimonianza la versione,
concordata in precedenza con Dumini, di un sequestro finalizzato
addirittura a documentare il coinvolgimento di Matteotti
nell�omicidio a Parigi del fascista Bonservizi.
Le arringhe della difesa trovarono la loro naturale conclusione
nell�in-tervento di Roberto Farinacci. Il segretario nazionale del
Partito fascista pi� che di Dumini si occup� a lungo della
personalit� di Matteotti, illustrando la sua �propaganda demagogica"
tra i lavoratori, la sua opera �nefasta e deleteria� contro
l�intervento dell�Italia in guerra e soprattutto la sua pervicace
azione di �calunniatore� e di �diffamatore freddo e sistematico� del
fascismo in Italia e all�estero per concludere che tutto ci�
costituiva una �provoca-zione permanente�, valida ad atte-nuare
�alquanto la gravit� della pena� cos� come l�asserita concausa
relativa al fisico �gi� gravemente malato� dello scomparso. Il
processo termin� il 24 marzo con la condanna di tre dei cinque
imputati (Dumini, Volpi e Poveromo) a cinque anni, undici mesi e
venti giorni di carcere, dei quali quattro condonati grazie
all�amnistia concessa nel 1925 per i reati politici. Vennero infatti
riconosciute tutte le possibili attenuanti e persino la concausa
della debole costituzione fisica della vittima. Dopo appena due mesi
i tre sicari poterono cos� tornare in libert�. Velia Matteotti si
vide anche respingere dal Procuratore del Re la richiesta di
restituzione del vestito e di altri oggetti del marito che a suo
avviso non potevano �venire negati all�amore e al culto della
famiglia�, mentre la lima rinvenuta alla Quartarella era invece
acquistata, all�asta dei corpi di reato, dal maggiore della Milizia
Francesco Grigi quale macabro trofeo. Non a caso, la sede di Chieti
veniva poche settimane dopo scelta per celebrarvi il processo contro
gli squadristi fiorentini che avevano ucciso il deputato socialista
Gaetano Pilati, mutilato di guerra e decorato al valore. Gli
imputati, nonostante fossero stati riconosciuti dalla vedova e dal
figlio di Pilati presenti al momento del delitto, furono addirittura
tutti assolti.
Amerigo Dumini, riusc� negli anni seguenti ad estorcere dalla
polizia, dal Partito fascista e dallo stesso Mussolini la somma di
2.171.339 lire, oltre ad altri sussidi a favore dei suoi familiari,
per quello che Denis Mack Smith ha definito �il prezzo del
silenzio�. Roberto Farinacci, fresco di una laurea in giurisprudenza
avventurosamente conseguita, ebbe l�onore di una prefazione di
Vincenzo Manzini al testo della sua arringa pubblicato in migliaia
di copie da �Cremona Nuova�. Autore di un monumentale Trattato di
diritto penale, riedito in dodici volumi negli anni �80, l�illustre
penalista, poi Accademico d�Italia, liquidava la morte di Matteotti
come un semplice �incerto del mestiere di demagogo�, l�epilogo
fatale per un politico che �si era posto in condizione di vivere
pericolosamente�. Nella sua nota introduttiva Manzini non esitava a
elogiare l��eloquenza fascista, sobria, concettosa� di Farinacci che
aveva fatto �splendidamente� giustizia delle calunnie lanciate
dall�opposizione aventiniana e concludeva �Dracma periit, et
invenitur in stercore�. Di segno opposto era il giudizio formulato
in quella circostanza dal giornalista francese Louis Levy:
�Farinacci... a le m�pris des belles-lettres et se moque ouvertement
de la syntaxe...Vous n�ignorez pas que le secr�taire g�n�rale du
Parti fasciste a d�fendu Dumini au proc�s Matteotti. Or, notre homme
est d�nu� de tout titre universitaire. Ce qui n�emp�cha pas un
barreau italien de lui d�cerner le titre d�avocat. Et ce qui,
surtout, n�emp�cha pas les belles dames de Chieti de lui offrir une
toge sompteuse, la veille m�me de l�audience�.
Giuseppe Modigliani e Umberto Zanotti Bianco riuscirono a far
pervenire copia dei verbali dell�istruttoria Tancredi - Del Giudice
a Gaetano Salvemini in Inghilterra. Nel dicembre 1926, dopo avere
utilizzato parte del materiale per il suo volume The Fascisi
Dictatorship in Italy, questi affidava tutta la documentazione alla
biblioteca della London School of Economics. �La notte di quella
consegna -ricorder� pi� tardi Salvemini- vi fu nella biblioteca un
tentativo di furto con scasso, che non serv� a niente, perch� i
documenti erano stati gi� chiusi nella cassaforte�. Il 12 gennaio
1927 un telegramma dell�Ambasciata d�Italia a Londra rifer�
l�opinione della �Westminster Gazette� secondo cui l�incartamento
consegnato alla London School of Economics dimostrava chiaramente
che �delitto Matteotti e occultamento cadavere fu istigato Governo
fascista soprattutto tramite Marinelli e che stesso Mussolini vi �
direttamente implicato�. Il tutto basato sulle deposizioni degli
imputati e dei testimoni nell�istruttoria che non erano state
�riprodotte al dibattimento pubblico�. Tre giorni dopo Mussolini
telegraf� all�ambasciatore italiano a Londra dichiarando trattarsi
di tendenziose falsit�, di documenti confezionati ad arte, e che
quindi quanto pubblicato sul giornale inglese andava subito
recisamente smentito. L�esito iniquo del processo provoc� sdegno e
dolore non solo tra i socialisti ma anche in altri ambienti politici
e nella stampa straniera. A Velia Matteotti giunsero da moltissime
parti testimonianze di affettuosa solidariet� e di acerba condanna
di fronte a una sentenza inaccettabile e vergognosa.
Della vicenda giudiziaria la stampa internazionale torner� a
interessarsi nel corso del secondo conflitto mondiale. Lo stesso
Churchill e il Foreign Office si occuparono del caso nel 1941 quando
il Comando Britannico del Medio Oriente, durante l�avanzata inglese
in Libia, rinvenne nel domicilio di Dumini documenti compromettenti.
Risult� per� vano ogni loro successivo tentativo di ottenere visione
del testamento che il capo dei sicari aveva depositato presso due
avvocati americani con la consegna di pubblicarlo �solamente in caso
di morte o di privazione della libert� personale��. Frattanto
nell�Italia gi� liberata, su istanza dell�Alto Commissario per le
sanzioni contro il fascismo, la Corte Suprema di Cassazione dichiar�
giuridicamente inesistente la sentenza della Corte di Assise di
Chieti del 1926. Il secondo processo si apr� a Roma il 22 gennaio
1947. Nonostante la scomparsa dei mandanti, degli organizzatori e di
alcuni esecutori dell�azione delittosa, si rinnov� l�interesse
dell�opinione pubblica italiana ed estera testimoniato dalla
presenza alle udienze dei corrispondenti dei maggiori quotidiani
italiani e stranieri. Il dibattimento si concluse il 4 aprile con la
sentenza della I Sezione speciale della Corte d�Assise di Roma che
condannava Dumini, Poveromo e Viola all�ergastolo. Pena poi
commutata in trent�anni di reclusione.
Scalarini sull'"Avanti!"
Il "ritorno" di De Bono in una vignetta del "Becco
Giallo"
Scalarini sull'"Avanti!"
*
Il
delitto Matteotti,
di Stefano Caretti, Piero Lacaita Editore, 2004, pp. 97-112.
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