LA REPUBBLICA, 17 aprile 2004
OTTANT'ANNI FA L'AGGUATO MATTEOTTI
IL DELITTO CHE SCONVOLSE L'ITALIA
QUEL DELITTO CHE
SCONVOLSE L'ITALIA
Mauro Canali
L'UOMO, IL MITO E LA STORIA
Michele Smargiassi
IL RIFORMISTA CHE
AMAVA GLI IDEALI
Mimmo Franzinelli
QUEL DELITTO CHE
SCONVOLSE L'ITALIA
Il leader socialista ucciso 80 anni
fa dal fascismo
Escono dalla famiglia le foto
inedite scattate da un grande reporter dopo l�omicidio
A volerle fu la moglie del
parlamentare
Da allora nessuno le ha pi� viste
MAURO CANALI
Matteotti venne rapito alle 16.30
del 10 giugno 1924 sul lungotevere Arnaldo da Brescia, mentre si
stava dirigendo alla biblioteca di Montecitorio, dove da qualche
giorno si recava per preparare il discorso che avrebbe dovuto tenere
l�11 giugno alla riapertura della Camera. Dopo essere stato
violentemente percosso, era stato caricato tramortito su una Lancia,
che si era poi allontanata a folle velocit� verso Ponte Milvio.
L�operazione venne organizzata da due pupilli di Mussolini, Amerigo
Dumini e Albino Volpi, e da altri tre ex arditi milanesi.
L�uccisione avvenne nell�abitacolo dell�auto, pochi minuti dopo il
rapimento, con un colpo di coltello al torace, vibrato quasi
certamente da Volpi. Il cadavere, in avanzato stato di
decomposizione, venne ritrovato il 16 agosto a 20 chilometri da
Roma, in una boscaglia che costeggiava la via Flaminia. Il cadavere
giaceva rannicchiato in una fossa talmente piccola che per
costringervelo, era stato brutalmente compresso tanto da provocargli
la frattura di alcune costole. Il ritrovamento del cadavere era
stato preceduto da quello della giacca, rinvenuta tre giorni prima
in un chiavicotto sulla via Flaminia a pochi chilometri dalla fossa.
Lo stato della giacca fece escludere ai periti che essa potesse
essere rimasta per due mesi nel chiavicotto; sembrava assai pi�
probabile che vi fosse stata messa solo pochi giorni prima.
Evidentemente doveva servire a 'pilotare� il ritrovamento del
cadavere. All�identificazione degli assassini si giunse grazie a
colpo di fortuna. Una coppia di portieri di uno stabile vicino all�abitazione
di Matteotti, aveva notato da qualche giorno Dumini e compagni
aggirarsi nei paraggi, e credendoli dei ladri, si era per
precauzione appuntato il numero della targa della Lancia. Gli
assassini di Matteotti appartenevano tutti alla Ceka fascista,
un�organizzazione di polizia segreta, che Mussolini stava allestendo
da tempo e la cui direzione era stata affidata a due degli uomini a
lui pi� vicini: Cesare Rossi, capo del suo ufficio stampa, vera
'eminenza grigia� del fascismo, e Giovanni Marinelli, segretario
amministrativo del Pnf. I due furono in definitiva i secondi
mandanti del delitto.
Le indagini vennero affidate ai
magistrati Mauro Del Giudice e Guglielmo Tancredi, che,
approfittando delle difficolt� in cui si dibatteva il partito
fascista dopo il delitto, poterono condurre l�istruttoria senza
pressioni e condizionamenti. Essi impostarono le indagini
istruttorie sul movente politico del delitto, influenzati anche
dagli echi non ancora spenti delle violentissime reazioni che il
fascismo aveva riservato al discorso pronunciato da Matteotti alla
Camera il 30 maggio, con il quale il deputato socialista, tra urla e
invettive provenienti dai banchi fascisti, aveva coraggiosamente
denunciato il clima d�intimidazione in cui s�erano svolte le
elezioni del 6 aprile. Lo stesso Matteotti s�era mostrato
consapevole di quanto si era pericolosamente esposto con il discorso
e ai compagni che si congratulavano con lui aveva replicato tra il
serio e lo scherzoso di cominciare a preparare il suo necrologio.
Il giudizio degli storici sulle
responsabilit� morali del fascismo e di Mussolini appare abbastanza
unanime. A dividerli sono i dubbi sul movente. Non convince certo la
versione del delitto involontario, cio� che Mussolini avrebbe
ordinato alla Ceka di dare a Matteotti una ?lezione�, che per una
esecuzione maldestra si sarebbe involontariamente trasformata in
tragedia. Non convince perch� non fornisce una spiegazione del
sequestro. Se si fosse trattato solo di una azione squadristica,
perch� allora rapire la vittima? Le 'lezioni� ad Amendola, Forni e
Misuri avevano segu�to schemi diversi ed erano tutte terminate con
il pestaggio della vittima, lasciata poi sanguinante sull�asfalto.
Lo stesso Dumini, quando usc� dal mutismo, si guard� bene dall�affidare
la propria difesa alla versione della 'lezione�, preferendo
ammannire ai magistrati alcune fantasiose amenit�, soccorso in
questo frangente da una impudente testimonianza di Curzio Malaparte,
allora ispettore del Pnf. Non convince del tutto nemmeno la versione
?classica�, cio� la necessit� da parte di Mussolini di eliminare con
Matteotti un avversario politico tenace e pericoloso, poich� la
decisione appare troppo in contrasto con gli effetti disastrosi
facilmente prevedibili, e poi perch� essa non spiega come mai allora
non si aspettasse un�occasione pi� propizia, meno affrettata. Appare
invece pi� ragionevole ricercare il movente nei timori, accertati
documentalmente dalle ultime ricerche, che agitavano alcuni settori
del governo Mussolini, nell�imminenza della riapertura della Camera,
per il discorso-denuncia che probabilmente Matteotti avrebbe fatto
in Parlamento l�11 giugno, - da qui la necessit� di agire in fretta
quel 10 giugno, - su pratiche illecite presenti nella stipulazione
della cosiddetta ?convenzione Sinclair�, un accordo tra il governo
fascista e la compagnia petrolifera americana Sinclair Oil, una
delle ?sette sorelle�. Il contratto, fortemente voluto da Mussolini,
assegnava alla Sinclair il monopolio della ricerca petrolifera in
Italia, ed era stato raggiunto a fronte di una cospicua tangente
versata tramite Arnaldo Mussolini nelle casse del Popolo d�Italia.
Furono i due principali protagonisti della tragedia a suggerirlo:
Dumini con un suo memoriale, venuto alla luce negli anni ottanta,
che chiama in causa Arnaldo Mussolini, e Matteotti, con un articolo
uscito postumo sulla rivista londinese English Life, nel quale
dichiarava senza mezzi termini di essere venuto a conoscenza che
l�accordo era stato raggiunto con la corruzione di alti esponenti
del governo fascista. Di fatto, i documenti che Matteotti portava
con s� quando venne rapito, e che, come raccont� pi� di un
testimone, vennero raccolti da terra da uno dei rapitori, non furono
mai ritrovati.
Una mostra su Matteotti si apre
luned� a Firenze
L'UOMO, IL MITO E LA STORIA
Un reportage racconta
MICHELE SMARGIASSI
�Al Dio Matteotti�. Non amavano
mezze misure i socialisti di Costa Polesine. Evocarono le sommit�
del sacro per piangere il loro martire, a lettere d�oro, sul nastro
di raso rosso-fiamma che brilla ancora dopo ottant�anni sotto la
teca di vetro. Era il 21 agosto 1924: salutato da un rito quasi
pagano (la bara sollevata e posata tre volte sulla �terra madre�) il
corpo straziato del segretario del Psu scendeva in una fossa del
cimitero del suo paese, Fratta.
Due mesi erano trascorsi da quel 10
giugno che Mussolini avrebbe descritto a D�Annunzio come il giorno
in cui �mi hanno fatto barcollare e soffrire�, quando cinque suoi
sicari rapirono il capo dell�opposizione e lo fecero sparire per
sempre, scatenando una reazione popolare imprevedibile. Settanta
giorni appena, e Matteotti era gi� diventato per migliaia di
antifascisti, sulla soglia della quaresima del Ventennio, un �nuovo
Cristo� in croce. Proprio lui, laico, socialista, innamorato delle
cose precise e razionali, il Diritto sopra tutto. Ma vent�anni di
attivit� politica e intellettuale furono travolti dal martirio.
Esempio di una morte che si sostituisce a una vita.
� ancora cos�. Nell�immaginario
collettivo, quando non � solo una riga sulla targa di una piazza, il
nome di Matteotti non evoca un uomo ma un simbolo: l�Antifascista.
Non era proprio questo che voleva la moglie Velia quando, all�indomani
del delitto, commission� al pi� famoso fotoreporter italiano dell�epoca,
Adolfo Porry Pastorel (aveva immortalato l�arresto del Mussolini
interventista nel 1914: il Duce non glielo perdon� mai) un
rischiosissimo reportage privato sulle indagini. Decine di scatti
rubati, eccezionali per contenuto informativo, di un dinamismo
sconosciuto al fotogiornalismo coevo, tranne ai grandi pionieri: le
macchine coi magistrati e i carabinieri che corrono sulle strade
polverose, i sopralluoghi dei magistrati, il ritrovamento della
giacca insanguinata, il recupero pietoso della salma, i leader
socialisti Turati e Treves convocati per il riconoscimento, la
simulazione giudiziaria del rapimento, i ritratti dei testimoni:
alcune immagini apparvero nei giornali antifascisti dell�epoca, ma
l�intera sequenza, un fotoracconto eccezionale, viene ricomposta
solo oggi per la mostra Giacomo Matteotti, storia e memoria
(promossa dal Consiglio regionale della Toscana, il cui presidente
Riccardo Nencini la inaugurer� luned� al palazzo Panciatichi di
Firenze, dall�Associazione Pertini e dalla Fondazione Turati).
Ma per Velia, che le raccolse in un
album istoriato d�oro, erano documenti per i posteri. L�ora dei
posteri � arrivata, e quelle foto, assieme a documenti e memorie,
escono per la prima volta dagli archivi familiari dove dormivano
avvolte in delicate veline nere, ciascuna etichettata con cura
certosina. �Era un�archivista devota�, osserva l�architetto Monica
Mengoni, che ha scelto di esporre questi 450 oggetti per quello che
sono diventati: reliquie di un culto. �Per riportare Matteotti nella
storia, come finalmente merita, bisogna andarlo a cercare nel mito�,
suggerisce lo storico Stefano Caretti, curatore scientifico della
mostra. �Certo, fu un mito molto operativo...�.
A volte � il mito che produce la
storia e non viceversa. Ci� che accadde nell�estate del �24 fu il
primo scontro politico combattuto con le armi dell�immaginario di
massa. Religione della politica, nutrito di riti e miti, il fascismo
rischi� paradossalmente di essere travolto da un altro culto, da
un�iconologia contrapposta. Non ci furono insurrezioni, neppure veri
scontri di piazza dopo il delitto: fu una battaglia tutta simbolica.
Eppure violentissima. I manifesti con la faccia di Mussolini
cominciarono a grondare sangue, �imbrattati d�una bava color
vermiglio�. Una croce dello stesso colore sul parapetto del
Lungotevere identific� il sito del martirio: attorno crebbe una
selva di fiori e candele. La gente passava e s�inginocchiava. A
tempo di record si stamparono migliaia di "santini" col volto di
Matteotti. Antifascisti come Nitti e Salvemini rimasero
impressionati dall�esplosione di devozione, dalla mistica sacrale ma
combattiva che immediatamente si sprigion� da quel corpo straziato e
assente (come il corpo di Cristo).
Il fascismo ancora debole vacill�
sotto l�offensiva, ma prese presto contromisure per abbattere o
almeno ridicolizzare il culto del �santo di Fratta Polesine�. Furono
misure simboliche anch�esse: canzoncine (�Avevi un posticino in
Parlamento / te l�ha levato il Fascio in un momento�), manifesti
irridenti, la spavalderia voodoo degli squadristi che �portavano al
cinturone il ritratto di Matteotti traforato da uno spillo�. Non
bastando, l�iconoclastia anti-martire si spinse fino alla
profanazione: fu distrutto il sacrario nel bosco della Quartarella,
dove il 16 agosto il corpo di Matteotti era stato finalmente
ritrovato.
Ma frenare l�antifascismo
mitopoietico si rivel� molto pi� difficile del previsto, quasi
impossibile. Bench� avvenuto di notte, il trasporto della salma da
Roma a Fratta Polesine si trasform� nella traslazione di una
reliquia, con altri inginocchiamenti e preghiere ad ogni stazione.
Perfino inumato quel corpo inquietava il regime: i parenti temettero
nuove profanazioni. Invece furono gli antifascisti (repubblicani) a
vagheggiare il trafugamento all�estero della salma, per farne,
scrive nelle sue memorie Vera Modigliani, un �santuario di fede,
meta di pellegrinaggi e di voti�.
Il �sepolcro pauroso� turb� a lungo
i sonni del Duce, terrorizzato all�idea che l�Italia potesse
�tornare a matteottizzarsi�. Non accadde: il culto del martire della
Quartarella, almeno in patria, divent� catacombale, s�interr�
metaforicamente nelle coscienze e letteralmente sotto i mattoni o
dentro i materassi dove gli antifascisti continuavano a conservare
le immaginette, le cartoline, ma anche le spille, i francobolli, i
bottoni col volto di Matteotti, estraendoli di nascosto, magari per
un bacio furtivo, e riponendoli fino alla resurrezione pasquale del
25 luglio, quando il volto santo torn� ad essere portato in
processione nelle piazze.
Era un volto ormai icastico,
ricavato sempre dalla stessa fotografia, scontornato, stilizzato,
iconizzato dalla ripetizione in migliaia di esemplari: successe all�immagine
di Matteotti, con cinquant�anni d�anticipo, ci� che sarebbe accaduto
a quella di Che Guevara. Non ci fu regia: forte di un carico emotivo
naturale (il David democratico ucciso per aver sfidato il Golia
fascista in Parlamento) il mito si moltiplic� da s�, come non
accadde per altre vittime del regime (don Minzoni, Rosselli,
Amendola, Gramsci). Scorno dei comunisti: �Il pi� grande martire
antifascista non � comunista�, si crucci� Togliatti. Antidoto
formidabile contro l�accusa di socialfascismo: �La socialdemocrazia
far� tesoro del sangue di Matteotti come Roma del sangue di Cristo�,
profetizz� Trockij anch�egli vittima della metafora religiosa.
Ma fu ovviamente sul capo di
Mussolini che quell�ombra volteggi� a lungo: glielo ricordavano ogni
giorno i fogli dell�emigrazione politica, le vignette satiriche
della stampa antifascista straniera, che si possono sfogliare a
decine sui computer della mostra fiorentina. Una di queste, apparsa
su un foglio madrileno, recitava: �Matar a un vivo es cosa f�cil,
pero cuan dificil es matar a un muerto...�.
I LIBRI
Il suo ruolo storico all'interno
della tradizione socialista
IL RIFORMISTA CHE AMAVA
GLI IDEALI
MIMMO FRANZINELLI
�Rivoluzionario riformista�: questa
definizione di Matteotti ne definisce l�approccio
politico-esistenziale, di un gradualismo coniugato con la fedelt� ai
principi basilari del socialismo, per la trasformazione degli
assetti sociali in una prospettiva emancipatrice. L�ossimoro coglie
la specificit� di una strategia alternativa al massimalismo
dogmatico e settario di Costantino Lazzari e Giacinto Menotti
Serrati ma irriducibile alla socialdemocrazia annacquata di Leonida
Bissolati e Ivanoe Bonomi. Una linea maturata negli anni giovanili,
a stretto contatto con le masse rurali del Polesine, di cui
Matteotti interpreta aspettative di riscatto, ricollegandosi al
socialismo municipalista, in veste di amministratore comunale, di
consigliere provinciale di Rovigo, di organizzatore sindacale delle
masse bracciantili.
Nel biennio rosso, con la sinistra
italiana abbagliata dall�esempio russo, il deputato del Polesine
contrappone alla scorciatoia della �dittatura di pochi sul
proletariato� la via maestra dell�educazione all�autogoverno;
incalzato dalle critiche della sinistra estrema, augura pacatamente
�agli improvvisati e catastrofici neofiti del dopoguerra altrettanto
ferma e inalterabile fede per il cosidetto comunismo, quanto io ne
ho serbata al socialismo�.
Per nulla attratto dalle contese
ideologiche, segue con distacco angosciato le lotte intestine al
partito socialista: appassionato sostenitore dell�unit�, �
sconcertato dalle lacerazioni dell�assise nazionale del PSI
(convocata a Livorno nel gennaio 1921) e abbandona il congresso
quando i lavori sono ancora in corso, per recarsi a Ferrara e
assumere la segreteria della Camera del lavoro, decapitata dalle
violenze fasciste. Mentre i suoi compagni si scomunicano
vicendevolmente, egli utilizza la tribuna parlamentare per
denunciare l�illegalit� dilagante: �Oggi in Italia esiste una
organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti,
nei suoi capi, nella sua composizione, nelle sue sedi, di bande
armate le quali dichiarano apertamente (hanno questo coraggio, che
io volentieri riconosco), che si prefiggono atti di violenza, atti
di rappresaglia, minacce, violenze, incendi, e li eseguono non
appena avvenga, o si pretesti che avvenga, alcun fatto commesso dai
lavoratori a danno dei padroni o della classe borghese. � una
perfetta organizzazione della giustizia privata� (dall�intervento
alla Camera del 31 gennaio 1921). Simili discorsi lo rendono
l�obiettivo privilegiato della violenza: il 12 maggio, recatosi per
un comizio in un una borgata in provincia di Rovigo, � sequestrato,
caricato su di un camion e rilasciato alcune ore pi� tardi dopo
avere subito umilianti sevizie.
L�aspettativa dei Soviet lascia il
campo a forme di reazione sanguinaria, ma Matteotti si trova
emarginato dentro il PSI, tollerato dai massimalisti come un corpo
estraneo. Quando l�ala riformista viene estromessa, Matteotti
costituisce con Filippo Turati il Partito socialista unitario e ne
diviene il segretario. Il progressivo soffocamento della democrazia
italiana trova proprio nei due dirigenti del PSU i testimoni pi�
lucidi, assertori di un socialismo che si fa anzitutto carico della
difesa delle �libert� borghesi�, battaglia assolutamente fraintesa
dai comunisti e dai social-massimalisti.
Una volta divenuto presidente del
Consiglio, Mussolini gioca nei confronti delle opposizioni le carte
della repressione e della lusinga, invitando politici e sindacalisti
social-riformisti alla collaborazione col suo governo. Inviti che
seducono autorevoli leader della Camera del lavoro (da D�Aragona a
Buozzi) e del PSU. In quel frangente l�opposizione di Matteotti �
totale, perch� - pi� che da una valutazione di opportunit� politica
- scaturisce da un giudizio morale. Nell�aprile 1924 scrive a Turati
con l�amarezza di chi avverte attorno a s� il vuoto: �Io non posso
continuare a fare il segretario del Partito; dirigere un esercito
che continua a scappare � ridicolo. Ognuno fa quello che vuole, cio�
fa nulla�. Matteotti � un uomo solo, segretario di un partito i cui
dirigenti propendono - tranne poche eccezioni - per una linea di
compromesso: egli � un profeta disarmato, un uomo privo di illusioni
sull�avvenire, che si batte per fedelt� ai propri ideali nonostante
sappia di essere destinato alla sconfitta, che auspica l�unit�
socialista �non tanto in s�, ma per farci di nuovo tornare in
comunicazione con lo spirito delle masse, che altrimenti andranno al
comunismo o al fascismo�.
La campagna elettorale dell�aprile
1924 � costellata di violenze, puntigliosamente ricordate da
Matteotti all�inaugurazione della nuova legislatura, in un discorso
- quello del 30 maggio - che rimarr� negli annali parlamentari come
il pi� elevato esempio di dedizione di un deputato al mandato
elettivo, nonostante attorno a lui si addensi una spaventosa spirale
di violenza, attraverso continue interruzioni e minacce di morte:
�Onorevole Matteotti, se ella vuol parlare, ha facolt� di
continuare, ma prudentemente!� gli intima, dopo aver cercato di
togliergli la parola, il presidente della Camera, Alfredo Rocco (che
legher� il suo nome a un codice penale liberticida); l�oratore
reagisce rivendicando i propri diritti: �Io chiedo di parlare non
prudentemente, n� imprudentemente, ma parlamentarmente!�. La
tensione tocca l�apice quando l�esponente socialista denunzia
l�esistenza di �una milizia armata composta di cittadini di un solo
partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un
determinato governo con la forza, anche se ad esso il consenso
mancasse�. Un minimo campionario delle interruzioni da parte dei
deputati fascisti lascia intendere la sorte riservata a Matteotti.
Farinacci: �Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo
fatto!�; Teruzzi: �� ora di finirla con queste falsit�!�; alcuni
deputati, in coro: �Vada in Russia!�. Mussolini � livido e si sfoga
con Cesare Rossi: �Ma cosa fa Dumini?!? Quell�uomo dopo questo
discorso non dovrebbe pi� circolare!�.
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