|
Lampi di guerra
di
Roberto Ippolito
a cura di Sara Ippolito
classe VD liceo scientifico Michelangelo
Durante l'ultima guerra mondiale, quando oramai la guerra
volgeva alla fine, la Versilia si trov� dal 1944 al 1945 ad
essere sulla linea di separazione tra gli eserciti degli Alleati
che avanzavano da Sud e dei Tedeschi che si stavano ritirando
verso Nord.
Quella linea di fronte venne chiamata la Linea Gotica,
Essere sul fronte ha voluto dire per gli abitanti della Versilia
essere sottoposti a pericoli e privazioni che oggi non si
possono nemmeno immaginare, ed ogni persona che ha vissuto quel
periodo ha ricordi e storie che attraversano le loro menti come
lampi. Lampi di guerra.
LA LINEA GOTICA
La linea gotica era una linea difensiva costituita da
fortificazioni e capi minati, che si estendeva da Pesaro
sull'Adriatico a Massa sul Tirreno attraverso gli Appennini e le
Alpi Apuane, costruita dai tedeschi per arrestare l'avanzata
degli Alleati.
Sul fronte della linea Gotica si fronteggiavano due eserciti: i
Tedeschi a Nord e gli Alleati a Sud.
Anzi gli eserciti erano tre, anche se il terzo non era un vero e
proprio esercito ma piuttosto un insieme di bande armate
organizzate militarmente, che combattevano i tedeschi sui monti
con attentati ed imboscate secondo la tattica della guerriglia.
In fondo il Che Guevara non ha inventato niente di nuovo.
I PARTIGIANI
I partigiani erano italiani, e tra essi molti militari che
avevano abbandonato l'esercito dopo '8 settembre.
La loro composizione era molto varia.
Vi erano i patrioti, cio� persone che volevano liberare la
Patria dall'invasore tedesco.
Vi erano gli antifascisti, cio� italiani che combattevano
contro il sistema politico autoritario e illiberale che aveva
governato l'Italia agli anni 20 in poi,
Vi erano coloro che partecipavano alla guerra come una vera e
propria guerra civile contro l'ordinamento statale basato sulla
monarchia.
Vi era infine chi concepiva la guerra partigiana come vera e
propria lotta di classe tendente a sovvertire con le armi
l'ordinamento borghese e capitalistico per instaurare un
ordinamento basato sull'ideologia comunista.
A queste ultime brigate, dette rosse per il loro colore
politico, si contrapponevano le brigate bianche ispirate ai
valori cattolici della Democrazia Cristiana, nonch� brigate che
si ispiravano a valori socialisti o al partito d'Azione che si
ispirava ad un utopico, almeno per i tempi, progetto di
conciliare i principi di Giustizia e di Libert�.
Ma un sentimento unico accomunava tutti i partigiani, pur nelle
loro diversit� anche profonde: l'odio per i fascisti ed i
nazisti.
I partigiani, per quanto svolgessero una funzione politica molto
importante, come braccio armato del Comitato Nazionale della
Liberazione, non riuscivano a essere molto simpatici alla grande
massa della popolazione, vuoi perch� fortemente politicizzati,
vuoi perch� per mantenersi avevano bisogno di cibo e vestiti
che prelevavano dalla popolazione residente, vuoi infine, e
soprattutto, perch� agendo con gli attentati, esponevano la
popolazione civile alle rappresaglie dei tedeschi
GLI IMPICCATI
La mia famiglia allora abitava ancora a Seravezza, una famiglia
allargata, perch� quando vi sono grandi difficolt� le famiglie
si riuniscono perch� essere insieme d� sicurezza. C'erano i
miei nonni materni il prof. Giuseppe Galanti e Maria Delmotti ed
i miei nonni paterni il cav. Umberto Ippolito e Ortensia
Calvellini. Poi c'erano le due zie Maria Luisa Galanti e Luciana
Ippolito. Senza contare mia madre Maria Emilia e mia sorella
Anna. Mio padre non c'era perch� era a fare la guerra in
Africa, dove fu fatto prigioniero e mandato al campo di
concentramento francese di Saida.
La vita era dura e bisognava darsi da fare per procurarsi da
mangiare. Era compito dei pi� giovani, e quindi delle mie zie
Luisina e Luciana , andare in giro dai contadini con la
bicicletta per raccattare un po' di verdura, latte e qualche
uovo.
Spesso mi portavano con loro, ed andavano anche insieme ad altre
ragazze.
Un giorno davanti al ponte di Vallecchia trovammo due partigiani
impiccati dai tedeschi e lasciati l� a monito della
popolazione. Non so come, ma mi ritrovai all'improvviso sotto le
gonnelle di qualche ragazza, dove mi avevano infilato per non
farmi vedere quello spettacolo.
A livello di batocchi si ragionava sempre di come fossero fatte
le donne sotto le gonnelle, e poteva essere un'occasione ghiotta
di cui vantarsi con gli amici, ma , non so se per lo spavento o
per lo scarso uso di sapone, bene raro e prezioso, sotto quella
gonnella tirava un'aria cos� pesante che mi divincolai per
uscirne al pi� presto, perdendo l'occasione per incrementare la
mia cultura.
IL SAPONE
In tempo di guerra, ma anche dopo e per molto tempo, molte cose
mancavano ed altre erano rare e costose.
In casa mia ogni tanto veniva il tempo di fare il sapone, che
non si trovava al mercato o forse costava troppo. La nonna Maria
prendeva le sue teglie di coccio e vi versava olio d'oliva e
soda. Dopo un po' di tempo si formava il sapone che la nonna
tagliava a fette e riponeva nell'armadio.
Naturalmente non si usava olio buono, ma le morchie, che sono il
deposito che l'olio fa col tempo sul fondo delle pile di marmo
dove di solito veniva tenuto l'olio. Una volta non si buttava
via niente, specie pi in tempo di guerra, e con i fondi
dell'olio ci si alimentava i lucignoli per fare lume e ci si
faceva il sapone.
IL CAVOLO
Quando eravamo batocchi, uno dei pi� grossi problemi era quello
di riuscire a capire come nascevano i bambini.
Oggigiorno non ci sono problemi con l'educazione sessuale, ma a
quei tempi era veramente dura, e le donne costituivano una sorta
di consorteria che escludeva i maschi ed in particolar modo i
bambini, dal sapere certe cose.
In genere le mamme, le nonne, le zie, assillate dalle continue
domande sul tema, rispondevano che eravamo nati sotto qualche
vegetale. Personalmente io ero nato sotto un cavolo.
Il bello � che ci si credeva pure.
AL PUNTONE
La mia famiglia , vuoi per reperire pi� facilmente il mangiare,
vuoi per paura delle bombe che piovevano di pi� sui centri
abitati che non in aperta campagna, decise di trasferirsi in un
podere di nostra propriet� in localit� al Puntone, a Querceta,
coltivato da Beppe il Gobbo.
Qui non c'era l'abbondanza ma c'era sempre di che sfamarsi.
Verdure, latte, uova, vino non mancavano mai, ed ogni tanto
qualcuno del vicinato ammazzava un vitello o un maiale e passava
voce in modo che si potesse andare a comprare carne fresca.
Naturalmente di nascosto perch� la carne era contingentata e
razionata.
PANE E POLENTA
Ma la cosa che si mangiava di pi�, e non certo per libera
scelta, era il pane e la polenta. Quando si andava a chiedere
qualcosa da mangiare, ti rifilavano sempre una fetta di pane ed
una fetta di polenta. E quando, con una fetta di pane nella
sinistra ed una fetta di polenta nella destra si andava a
protestare per ottenere qualcosa di meglio, la risposta
inevitabile della nonna era: fai finta che la polenta sia un
coscio di pollo, o una fetta di formaggio, a seconda delle
giornate. Sar� stata per la gran fame o per la grande fantasia
dei bimbi, ma qualche volta il trucco riusciva.
LA PUNTURA
Beppe il Gobbo, il contadino, era giustamente famoso per molte
cose, ma una cosa mi rimaneva misteriosa. Ogni tanto la sera
spariva dicendo di andare a fare la puntura ad una damigiana. Di
vino, s'intende.
Non riuscivo a capire come una damigiana potesse avere bisogno
di punture, perci� una sera gli sgattaiolai dietro.
Vidi che entrava in cantina, levava l'olio ad una damigiana e vi
infilava la canna che si usa per levare il vino. Poi si sdrai�
per terra, si infil� la canna in bocca e cominci� a ciucciare
il vino. Si raccontava che fosse capace di passare anche tutta
la notte a fare punture, e che spesso si addormentava sotto una
damigiana.
L'OMBRELLO
La guerra � sempre una cosa molto seria e pericolosa. In
Versilia poi eravamo proprio sul fronte della linea Gotica, con
gli americani ed i tedeschi che si sparavano cannonate, e noi
nel mezzo. Per lungo tempo le postazioni di artiglieria furono
fisse, e la gente aveva cominciato a distinguere il cannone dal
rumore che faceva , e tanto per non smentirsi, da buoni
versiliesi, aveva dato un soprannome ad ogni cannone. E c'era
quello pi� cattivo e quello che, si diceva, sparava solo per
fare paura perch� poi le bombe non arrivavano mai.
Ad ogni modo s'era fatta una certa abitudine alle cannonate.
Un giorno mio nonno Umberto ed un lontano parente, il rag.
Pellizzari di Seravezza, anche lui sfollato vicino a noi, dopo
essere stati con Beppe il Gobbo a fare punture alle damigiane,
furono visti camminare a braccetto per la strada cantando a pi�
non posso proprio mentre bombardavano.
Le nostre donne gli urlavano di venire via, ch� piovevano
bombe.
Per tutta risposta quei matti aprirono l'ombrello che il rag.
Pellizzari portava sempre con s�, e continuarono allegramente a
cantare.
LE BOMBE AMICHE
A stare nel mezzo c'� sempre da buscarne.
Questo � particolarmente vero se si sta nel mezzo di una
guerra.
In Versilia c'eravamo nel mezzo, ma proprio nel mezzo, tra i
tedeschi a nord prima nostri amici e poi divenuti nemici, e gli
americani a sud, prima nostri nemici e poi divenuti amici.
Quando piovevano bombe che ammazzavano gente e distruggevano
case, se erano bombe degli americani sembrava che la gente fosse
quasi contenta, perch� gli americani venivano a liberarci e
quindi erano bombe amiche.
Mio padre, ufficiale dell'esercito e quindi serio professionista
della guerra, mi raccont� un giorno che al fronte in Africa
quando si avvicinavano aerei da bombardamento tutti i soldati,
da una parte e dall'altra del fronte sparavano contro gli aerei
a qualunque schieramento appartenessero.
Evidentemente la mira degli aviatori a quel tempo non era tanto
buona e morire per una bomba amica in definitiva non dava molta
soddisfazione.
IL CANNOCCHIALE
Mio padre, partendo per la guerra, ci aveva lasciato un
cannocchiale militare molto potente, con cui giocavo spesso
nell'aia della casolare di Beppe il Gobbo.
Il cannocchiale era una delle cose rare in tempo di guerra.
Qualcuno lo not� ed un giorno ecco presentarsi un ufficiale
italiano che si era dato alla guerra partigiana sulle nostre
montagne.
Chiese a mia madre il permesso di prendere in prestito il
cannocchiale, e, nonostante la mia strenua resistenza perch�
non volevo privarmi del mio giocattolo preferito, mia madre
glielo diede.
Nessuno nutriva speranza di rivedere il cannocchiale, e mia
madre aveva gi� scritto a mio padre affibbiandomi la colpa di
avere perso il cannocchiale.
Perci� fu grande la sorpresa quando dopo qualche settimana si
ripresent� l'ufficiale partigiano a restituire il cannocchiale
dicendo che gli era stato utilissimo per spiare le postazioni
dei tedeschi.
Mia madre poi mi disse che quel povero ragazzo fu ucciso in
battaglia sui monti di Massa.
LA GUERRA DI ZOLLE
Non c'erano molti svaghi per noi batocchi in tempo di guerra.
Al Puntone avevamo inventato un gioco in sintonia coi tempi: la
guerra di zolle.
A quei tempi si arava la terra ancora con l'aratro trainato dai
buoi, e si formavano grosse zolle di terra compatta.
Noi ragazzi, con un paio di brachette addosso ed a piedi scalzi,
si andava a cercare un campo arato di fresco e con quelle zolle
si costruivano dei fortini, uno per ogni squadra che si riusciva
a fare, e al loro riparo si prendevano a zollate gli altri
fortini e quelli che vi dentro. Io ero il pi� piccolo e il mio
ruolo era quasi sempre quello di fare il messaggero.
Il ruolo era molto rischioso, perch� quasi sempre il
messaggero, in spregio a tutti i trattati internazionali, veniva
fatto prigioniero e passato per le armi, vale a dire gli si
rompeva in testa la zolla pi� grande che si avesse a portata di
mano.
Quando si tornava a casa la sera, ci aspettava un'altra guerra,
questa volta con le mamme, che non riuscivano a capire quanto
fosse eroico tornare a casa coperti di terra.
La punizione inevitabile era quella di essere messi direttamente
sotto la pompa del pozzo e lavati col bruschino. Anche se era
piena estate vi assicuro che si batteva i denti dal freddo tanto
l'acqua era gelida .
SFOLLATI!
Mia madre ad un certo punto si stanc� di tenerci proprio sul
fronte della linea Gotica dove piovevano spesso bombe sia amiche
che nemiche.
A Gattaiola, vicino Lucca, gi� occupata dagli americani, mio
nonno Giuseppe aveva una sorella, Agostina, che aveva sposato un
Simonetti. Avevano un podere in campagna ed una casa grande dove
potevano ospitarci; perci� mia madre decise di portarci l�
A dirsi � facile, ma a farlo un po' meno, perch� non c'erano
autobus o macchine che potessero portarci.
Si caric� tutte le nostre cose in un carretto e , aiutati dalla
mia balia, la Gina, ci mettemmo in viaggio a piedi verso Lucca,
passando per Pietrasanta, Massarosa, Monte di Quiesa.
Non � che mi ricordi molte cose, perch� dopo i primi
chilometri mi addormentai, e cos� dovettero portare anche me,
un po' in collo ed un po' sul carretto.
Tutte le volte che rifaccio quel percorso in macchina, mi
domando come abbiamo fatto a farcela a piedi e per di pi�
spingendo un carretto stracarico di roba. Ma a quei tempi fare
lunghi percorsi a piedi o in bicicletta, per chi aveva la
fortuna di possederne una, era normale.
Per fortuna, mi raccontava mia madre, che ai piedi del Monte
Quiesa, si trov� ristoro in una casa dove abitava una famiglia
molto a modo che ci fece riposare e ci offerse da bere e da
mangiare. Si ebbe anche la fortuna di trovare un uomo che
conosceva la nostra famiglia che andava a Lucca in bicicletta e
che si un� a noi dandoci una mano a tirare il carretto su per
la salita del Quiesa..
L'INDIANO
A Lucca c'erano gi� gli americani , ed un battaglione era
proprio di stanza a Gattaiola vicino a noi: era un battaglione
di indiani. S�, proprio cos�, veri indiani pellerossa delle
praterie americane.
Io feci amicizia con un indiano che si chiamava Roberto come me,
e mi portava sempre chewingum e cioccolate.
Quando il battaglione part� per andare al fronte, mi ricordo
che ero alla finestra in cucina, ed il mio Roberto si stacc�
dal battaglione per venirmi a fare una carezza e darmi l'ultima
cioccolata, piangendo. Ed anch'io piangevo.
LA POZZA
A Gattaiola la vita di noi sfollati era molto pi� noiosa che al
Puntone, niente allarmi improvvisi per bombardamenti, niente
bande di ragazzi che si tiravano le zolle, niente vecchietti che
aprivano l'ombrello per ripararsi dalle bombe.
Per� con un po' d'impegno riuscii comunque a movimentare le
nostre serate.
Una sera, arrampicatomi sulla pozza che le donne usavano per
lavare i panni, scivolai e caddi nella pozza a testa in gi� e
gambe per aria. La pozza era stretta e quindi non riuscivo a
rovesciarmi per tirare fuori la testa dall'acqua che riempiva la
pozza.
Per fortuna un contadino che tornava a casa dal lavoro dei campi
vide i miei stivaletti agitarsi nell'aria, e venne a tirarmi
fuori.
Non prima per� di essermi bevuta mezza pozza. Tanto che presi
il tifo e stetti male per un mese e pi�.
LA
TESSERA DELL'ANNONA
Dopo ogni guerra c'� un dopoguerra.
Vien fatto di pensare che, una volta finita la guerra, tutto sia
gioia e felicit�, perch� peggio della guerra non pu� esserci
niente.
Ma in realt� non � cos�, perch� dopo un periodo di assenza
di regole perch� l'unica regola � sopravvivere, la societ�
comincia a riorganizzarsi , e, come noi bambini ben sappiamo, i
grandi non sono capaci di organizzarsi se non ponendo regole,
divieti, proibizioni, condizioni.
Una delle regole poste dai grandi in quel dopoguerra , fu la
regola della tessera dell'annona. L'annona � l'organizzazione
amministrativa dello Stato che si preoccupa di razionare e
distribuire alla popolazione determinati cibi in periodi di
carestia o di guerra.
Per distribuire cibo ai cittadini si utilizza una tessera con
tanti bollini con scritto sopra carne, latte , pane ecc. . Il
cittadino va al negozio ed insieme al denaro consegna un bollino
staccato dalla tessera.
Senza bollini, niente .
La mia famiglia, essendo la famiglia di un ufficiale prigioniero
di guerra, non aveva problemi di tessere e di bollini. Anch'io
avevo una mia tessera personale, che francamente non mi serviva
a niente, essendoci gi� quella di mia madre.
Ma non tutte le famiglie erano cos� fortunate, anche se non ho
mai saputo da cosa dipendesse.
Una nostra amica di famiglia, la Marietta Bentini, vedova e con
un figlio, Wilfredo, ammazzato dai tedeschi per rappresaglia
contro un attentato dei partigiani senza alcuna colpa ma solo
perch� passava per strada dalle parti di Massarosa, era nella
spiacevole situazione di non avere alcuna tessera dell'annona, e
quindi aveva seri problemi di sopravvivenza.
Mia madre mi chiese se volevo cedergli la mia tessera, ma io
vedevo nella tessera solo un pezzo di carta molto bello con ci
potevo giocare, e quindi mi rifiutai di cedere la tessera
scoppiando anche a piangere per rendere pi� evidente il mio
diniego.
Fortunatamente la Marietta si rivel� un fine psicologa, e
sapeva che tutti i bambini, anche i pi� "testardi",
avevano un punto debole.
Perci� venne una mattina all'asilo delle suore bianche (a
Seravezza vi erano due ordini di suore fieramente rivali: quelle
bianche e quelle nere, dal colore del copricapo che portavano) e
mi offerse di fronte ai miei compagni un giocattolo che era
appartenuto a suo figlio Wilfredo: una pistola a fulminanti,
cio� una pistola in cui si mettevano strisce di carta
arrotolata con inseriti a distanze regolari granuli di polvere
da sparo che esplodevano pigiando il grilletto. Una vera rarit�
in quei tempi duri del dopoguerra.
Non accettare uno scambio cos� vantaggioso avrebbe voluto dire
perdere la faccia davanti ai miei compagni, perci� fui
costretto ad accettare e consegnai alla Marietta la mia tessera
dell'annona..
Solo pi� tardi mi accorsi che la pistola non funzionava
|